Quali policy per una transizione ecologica sostenibile?

La transizione ecologica, per la sua enorme portata sul sistema economico e sociale, chiama in causa le istituzioni pubbliche e il loro ruolo di facilitatori del cambiamento. Ne parliamo con Simone D’Alessandro, docente di Economia Politica all’Università di Pisa, chair della sezione dedicata alle policy della conferenza di Movet “La transizione ecologica nel sistema automotive”, in programma il 7/8 luglio a Livorno.

Professore, gli attori coinvolti nella transizione energetica sono consapevoli della profondità di questo cambiamento? Al momento manca una visione sistemica sul tema. Ad esempio, nel piano nazionale per la transizione ecologica si parla di 6 milioni di veicoli elettrici in Italia entro il 2030. Ciò è positivo, ma significa che l’indotto della componentistica auto subirà un duro colpo, e si perderanno molti posti di lavoro.

Che saranno creati nei nuovi settori collegati al nuovo modello di motore elettrico. In parte sì, ma difficilmente si avrà una sostituzione 1 a 1 tra vecchi e nuovi posti di lavoro. In più, tutti i tecnici ci dicono che un’auto elettrica è più semplice da costruire e quindi ci sarà comunque una diminuzione delle ore – lavoro necessarie a costruirla. Spesso si dice che i metalmeccanici disoccupati saranno occupati nel settore della produzione di batterie, ma al momento la frontiera tecnologica di questo settore è in altre nazioni. Una politica industriale seria deve confrontarsi anche con questi fattori: il rischio è di veder mancare il supporto politico alla transizione energetica.

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Si sono studiate le conseguenze anche negative del cambiamento? Ad oggi non ci sono studi approfonditi, si mette l’accento sugli aumenti dei posti di lavoro nel settore dell’auto elettrica senza tenere conto, in modo sufficientemente attento, di quelli che si perdono nell’indotto dell’automotive attuale. E questo già succede, come nel caso di Vitesco in Toscana.

Cosa si può fare per ridurre al minimo le perdite di posti di lavoro? Bisogna studiare di più questi fenomeni, evitando soluzioni che, mirando solo agli obiettivi di decarbonizzazione, rischiano di far ricadere i costi sociali tutti sul pubblico. Molti lavoratori saranno impiegati nei nuovi settori, ma la tecnologia da sola non può bastare. Serviranno interventi sociali anche di tipo nuovo, come sostegni al reddito che permettano ai lavoratori di riqualificarsi o una riduzione dell’orario di lavoro per ripartirlo su più lavoratori. In generale, se vogliamo che nei prossimi decenni si azzerino le nostre emissioni non possiamo pensare che le nostre vite rimangano uguali, ma dovranno cambiare.