Una politica industriale sull’automotive per vincere le sfide tecnologiche e normative del settore

L’assemblea pubblica Anfia del 5 Dicembre a Roma, a cui Movet hanno partecipato il presidente di Movet e alcuni membri del direttivo, è stata introdotta dalll relazione del Presidente Paolo Scudieri. Qui riportiamo il testo


“Autorità, Signore e Signori, cari associati e colleghi di ANFIA,
permettetemi, prima di iniziare i lavori, di condividere con voi l’emozione del mio essere qui oggi, scelto dalla nostra assemblea per presiedere e rappresentare il settore automotive italiano. Mi impegnerò a farlo con onore e con passione, quella innata che ho per le auto e per il nostro settore.
E’ sotto gli occhi di tutti l’ottimo lavoro fatto in questi anni sotto la guida di Aurelio, che approfitto per ringraziare personalmente e a nome di tutti gli associati. Sarà questo il punto di partenza da cui voglio iniziare questo importante percorso, sentendomi parte di una squadra che
può vantare esperienze e competenze come quelle dei colleghi del Consiglio Direttivo appena eletto, ma soprattutto può contare sulla serietà e la professionalità del team che quotidianamente lavora in ANFIA.
La nostra associazione quest’anno compie 106 anni, si può dire che è la memoria storica della nostra industria. Ha unito sotto lo stesso tetto una filiera lunga ed eterogenea come quella automotive, composta da costruttori di ogni tipo di veicolo, componentisti di ogni fase e prodotto e i migliori car designer italiani, le menti creative dell’ancora indiscusso stile italiano.
ANFIA ci ha visto nascere, crescere, a volte cadere, trovando sempre la forza e la voglia di innovare per rialzarci e continuare a mantenere alta la competitività dell’industria automotive italiana. Gli scenari della mobilità futura ci porteranno nei prossimi anni ad affrontare sfide tecnologiche che impongono cambiamenti dirompenti e il ruolo di ANFIA vuole essere ancora una volta quello di accompagnare e supportare la filiera per poterle affrontare al meglio.
Qualche numero del nostro settore, a livello italiano e a livello europeo, perché noi ci sentiamo parte integrante dell’Europa. In Italia siamo più di 5.000 imprese, con un fatturato che supera i 100 miliardi di Euro e rappresenta il 6% del PIL. Impieghiamo nella produzione circa 260.000
addetti diretti e indiretti
che rappresentano più del 7% degli occupati del settore manifatturiero. Contribuiamo al gettito fiscale per oltre 74 miliardi e siamo il settore industriale che investe di più in ricerca ed innovazione, quasi 1,7 miliardi in Italia e 53 in Europa, la metà investita dalle aziende della componentistica. Componentistica che nel nostro Paese rappresenta un settore d’eccellenza. Ha saputo fronteggiare la crisi che ha portato al ridimensionamento della produzione domestica, diversificando il portafoglio clienti e mantenendo alta la sua competitività grazie all’export (nel 2017 le esportazioni valgono oltre 21 miliardi e il saldo attivo vale 5,7 miliardi). Il comparto, da solo, genera da anni un avanzo commerciale positivo, con un saldo medio annuo dal 2007 al 2017 di oltre 6,4 miliardi.

Per quanto riguarda la produzione, siamo stati negli ultimi anni il settore trainante della ripresa – lo scorso anno abbiamo segnato un +4,4%, mentre la produzione industriale complessiva +3,6% – ma quest’anno stiamo assistendo ad un rallentamento. Nel 3° trimestre l’andamento di tutto il settore automotive è stato negativo e il risultato dei primi 9 mesi è calato dello 0,6%. Nel 2018 risultano in compressione ordini e fatturato soprattutto per quanto concerne il mercato interno, mentre sempre positivo è il risultato dei mercati esteri (la quota delle esportazioni sul prodotto rimane sopra il 65%). In termini di volumi produttivi annui dei soli autoveicoli, dopo il trend positivo dal 2015 al 2017, questi primi 9 mesi segnano un -3,8%. E’ un dato che ci preoccupa. Oggi produciamo tra il 30 e il 40% dei veicoli prodotti in Spagna, Francia e Gran Bretagna; dobbiamo tornare ad essere un Paese con volumi produttivi come i nostri competitor. Bisogna
tornare a mettere al centro dell’agenda politica la crescita del tessuto industriale italiano, con la sua capacità di generare posti di lavoro e sostenere la crescita del sistema Paese. Occorre agire su quei fattori di produzione che per troppo tempo hanno creato un gap di competitività
tra il fare impresa in Italia o negli altri Paesi europei. Questo è il primo messaggio che vogliamo dare oggi al Governo. L’industria merita un posto
centrale nel programma di un Paese: non c’è crescita sociale e occupazionale senza la creazione di condizioni favorevoli per il rafforzamento e l’ampliamento del tessuto imprenditoriale italiano. Quali prospettive offriremo ai nostri giovani in cerca di futuro se non
progettiamo insieme un percorso di sviluppo industriale ed economico?
Nonostante i maggiori costi dell’energia, il cuneo fiscale, i tempi incerti della giustizia e la burocrazia dilagante, siamo la seconda manifattura in Europa. Viene spontaneo chiederci dove potremmo arrivare se ci fosse un’equivalenza competitiva. La Spagna, negli ultimi anni, ha fatto
scelte di politica fiscale ed industriale che hanno prodotto risultati eccellenti. Noi più di altri Paesi possiamo vantare cultura imprenditoriale, capacità di fare sistema ed una naturale predisposizione alla creatività e all’innovazione che ci consentirebbero di raggiungere risultati
ben più significativi di quelli attuali. Analizzando il rapporto che nei maggiori Paesi europei c’è tra la produzione e il mercato di auto
vediamo che in Germania e in Spagna a fronte di una nuova immatricolazione si producono rispettivamente 1,64 e 1,86 auto. In Francia il rapporto è 1 a 0,83, mentre in Italia il rapporto è 0,38 auto prodotte per ogni auto immatricolata.
C’è un enorme potenziale di crescita interna su cui dobbiamo investire.
Il primo passo in questa direzione è certamente l’impegno che FCA ha preso per i plant produttivi in Italia e delle cui indicazioni e localizzazioni dei modelli, avremo modo di parlare in tavola rotonda. Per tutta la filiera questo impegno è fondamentale, perché nello scenario ipercompetitivo che si prospetta di fronte a noi, per continuare ad avere una filiera della
componentistica solida e robusta da un punto di vista organizzativo e finanziario, non si può prescindere dall’avere una produzione significativa in Italia, perché è anche dalla stretta collaborazione tra Costruttore e componentista che si creano le innovazioni e gli sviluppi tecnologici.

Diamo ora uno sguardo al mercato, anche questo dopo 3 anni consecutivi di crescita, si contrae. Nei primi 10 mesi le immatricolazioni sono calate del 3%, con un dato che in questo momento storico è estremamente significativo: -11% di immatricolazioni di auto diesel.
Il Diesel rappresenta ancora nel nostro Paese oltre il 50% del mercato, è una tecnologia europea eppure sta pagando a duro prezzo la demonizzazione politica dell’Europa, attuata a livello locale attraverso blocchi e limitazioni alla circolazione che spesso, senza una attenta analisi
sulle emissioni, includono anche le motorizzazioni di ultima generazione.
Continua, invece, la crescita dei carburanti alternativi, di cui da tempo siamo il primo mercato in Europa. Positivo il dato di crescita delle ibride plug-in e delle elettriche, anche se queste ultime continuano ad avere una quota di mercato irrisoria, pari allo 0,3%. Estremamente positiva, per quanto riguarda i veicoli commerciali e industriali, la crescita del CNG e dell’LNG. La filiera italiana è leader indiscussa su queste tecnologie ed è importante evidenziare che il mercato sta già riconoscendo il ruolo chiave che il gas naturale ha nella transizione energetica; speriamo se ne accorga presto il legislatore europeo. In questo momento in cui le emissioni di CO2 sono al centro del dibattito politico e sociale da cui quotidianamente emergono dati contrastanti, permetteteci di guardare i dati da un punto di vista diverso rispetto a molti, evidenziandovi gli importanti risultati di riduzione che il nostro settore ha raggiunto negli anni, e che troppo spesso non sono sufficientemente considerati. Sul totale delle emissioni in Europa, le auto incidono per circa l’8% e i veicoli industriali poco meno. Entrambi i settori, singolarmente e congiuntamente, pesano meno di altri, eppure appariamo sempre come gli unici responsabili dei cambiamenti climatici. Dal 1995 ad oggi i nostri prodotti hanno migliorato le loro prestazioni emissive del 36% e si sta lavorando senza sosta per arrivare agli obiettivi del 2020, impiegando il migliore capitale umano e ingenti investimenti finanziari, ma tutti questi sforzi non sempre sono positivamente evidenziati.
E’ quello che sta di nuovo succedendo con le 2 nuove proposte di riduzione della CO2 al 2030 per auto, veicoli commerciali e industriali. In entrambe le proposte, i legislatori europei stanno negoziando obiettivi irragionevoli nei tempi e nei modi, e che rischiano di penalizzare fortemente la principale forza industriale europea.
Assurdi quelli intermedi al 2025, considerati i tempi di sviluppo dei prodotti. Illogica ed incoerente con il principio europeo della neutralità tecnologica, l’imposizione di quote di mercato dei veicoli elettrici, considerato soprattutto il punto di partenza. Analizzando solo il settore auto, ad oggi la quota di mercato italiana è lo 0,3%: immatricoliamo 1
auto elettrica ogni 404 auto. Per poter raggiungere gli obiettivi della regolamentazione, gli scenari che abbiamo condiviso con UNRAE e Federauto prevedono un parco circolante di veicoli elettrici che, a seconda della percentuale di riduzione che il Trilogo stabilirà, dovrebbe essere al
2025 tra 1.200.000 e 1.400.000 unità, e al 2030 dai 3.400.000 ai 4.300.000.
Numeri veramente importanti, che sottintendono un cambio radicale, non solo della nostra produzione, ma anche e soprattutto del mercato e delle abitudini di acquisto dei cittadini, storicamente basate su convenienza economica (quasi il 90% delle auto vendute in Italia costa meno di 30.000€) e sulla disponibilità infrastrutturale” (1° parte)